Racconti Inside the race
Yuri Franco
Personal Running Coach
Riccardo Brotto
Omar Cai
Stefano Riccardi
“La VUT non la si può spiegare e capire a parole, per coglierne tutto il suo significato va vissuta e sofferta”
Sono le 23:00 di Venerdì e mi ritrovo in mezzo ad altri 176 runners. Dopo un veloce ma doveroso check degli zaini per poter dimostrare agli organizzatori di aver con sé tutto il materiale obbligatorio, ricevo il GPS con il quale staff e tifosi da casa possono seguirmi passo passo lungo il percorso ed entro in griglia di partenza. Mi piace osservare gli altri concorrenti in ogni gara ed immaginarmi le storie di ognuno, in base al loro aspetto, a come sono vestiti o semplicemente a come si comportano in quei pochi minuti prima del via. Penso sempre di esser fuori luogo accanto a tutti gli altri concorrenti e la conferma in parte arriva quando vengono annunciati dallo speaker i top runner che si sfideranno per le prossime ore per la conquista di questa terza edizione. Tra loro spicca in nome di Franco Collè, già vincitore della prima edizione, nonché vincitore per due edizioni del mitico Tor de Geants, che per chi non lo sa si tratta di una corsa di 330km con 24000m di dislivello tra le più imponenti montagne della Val D’Aosta. Un doveroso appunto va segnato per la partecipazione di Mario Panzeri, mitico alpinista che al suo attivo può vantare tutti i 14 8000m del mondo senza l’ausilio di ossigeno.
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Continua su marciatoridesio.itStefano Gatti
"Numero ottanta, stai bene? Sei sicuro?": cara Vut, una dura lezione ma l'anno prossimo torno!
Il ritiro non è un fallimento ma un insegnamento per il futuro: la Valmalenco Ultra Trail di Stefano Gatti
"Magnificent Desolation": l’espressione usata cinquant’anni fa da “Buzz” Aldrin per descrivere il paesaggio lunare non potrebbe descrivere meglio anche lo scenario che ci si presenta davanti agli occhi (e sotto la suola delle scarpe) alle primissime luci dell'alba dalle parti dello sbocco superiore del vallone di Sassersa, uno dei tratti più impegnativi della VUT: un acronimo brevissimo che sta per Valmalenco Ultradistance Trail e si prende la briga di provare a riassumere (in tre sole lettere, appunto), un’avventura alpina di novanta chilometri e seimila metri di dislivello, da coprire nel tempo massimo di ventiquattro ore. Il primo dei tre laghetti di Sassersa è lì da toccare e verrebbe voglia di uscire dal percorso per visitare anche gli altri due, che si trovano appena più in là ma nascosti alla vista e così tornare indietro di parecchi anni… Se non fosse che c’è una gara da correre e sono già parecchio in ritardo. Le acque del laghetto infatti sono nere quasi quanto la mia “maglia”. Una crisi di freddo lungo la risalita della Val Torreggio, in direzione del Rifugio Bosio-Galli, ha prodotto gravi danni alla mia già fantascientifica e quindi traballante strategia: sensazione di gelo, mani viola come nemmeno a tremila metri nel mese di gennaio, e di conseguenza posizioni perse a grappoli.
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Continua su sportmediaset.mediaset.itSaverio Monti
Racconti di un Ultratrailer Disadattato.
Non avevo mai corso con il numero “1” e la cosa mi preoccupava.
Mi sentivo addosso delle aspettative, come se dovessi dimostrare qualche cosa a qualcuno. L'anno prima avevo vinto, ma c'era quel "ma" dello sbaglio di percorso di Giulio Ornati che riecheggiava ancora nell'aria.
Sapevo quanto avevo patito, quanto ero andato forte, quanto...
avevo pure scaricato i dati di entrambi analizzando le prestazioni e a conti fatti non avevo "rubato" nulla e che fà parte del gioco seguire il percorso corretto, ma volevo dimostrare che non era stato un caso, che quel giorno ero stato forte e concentrato e che per una volta le cose erano andate bene fino alla fine.
Ho lavorato tanto quest'inverno pensando alla VUT 2018, correre al freddo, al buio, sotto la pioggia, con il grande stimolo di ripresentarmi al via nella mia migliore condizione di sempre.
Ogni tanto di nascosto riguardavo il video dell'arrivo giusto per farmi riassaporare quelle forti emozioni e ritrovare le energie anche quando mi sentivo stanco e poco motivato.
Mancano poche settimane al via e mi rendo conto che le mie ambizioni invernali si erano sgretolate dopo la festa di liberazione.
Era dal 25 aprile che non riuscivo ad allenarmi con continuità, e in questo sport non si inventa nulla soprattutto quando sposti l'asset da Finisher a Risultato.
Ci passiamo tutti prima o poi. Le prime corse, le prime esperienze, qualche buona prestazione, la voglia di migliorarsi e senza accorgersene l' agononismo diventa l'elemento principale di questa esperienza dimenticandosi del vero motivo per cui si era intrapreso questo viaggio.
Non c'erano integratori, gel, barrette, tabelle, ma tanta voglia di avventura e spensieratezza.
Mi sembrava tutto così libero e selvaggio, senza stress, l'unico scopo era arrivare in fondo in una cosa che fino a poco prima sembrava impossibile.
Ero a disagio, pensieroso e quasi in imbarazzo, lo speaker
all'improvviso annuncia a gran voce il mio nome e mi ritrovo a passare timidamente tra i vari partecipanti.
Ci siamo, mancano pochi minuti al via della Valmalenco UltraDistance Trail 2019 !
Sento i loro occhi su di me, qualcuno arriva a stringermi la mano e in un gesto involontario cerco di nascondere il pettorale, quasi mi sentissi in difetto ad indossare quel numero.
Le mie condizioni fisiche erano quelle che erano, ma in quel momento mi sono sentito magicamente rinvigorito grazie ad una nuova massiccia fresca dose di autostima.
Mi ritrovo così sulla linea di partenza con Collè e tutti gli altri.
Guardo dritto avanti a me cercando la massima concentrazione.
Franco Collé l'ultima volta che lo avevo "visto" era su una rivista di settore, una foto a tutta pagina celebrava la sua ennesima vittoria al Tor des Geants mentre io mi ero miseramente ritirato.
Accarezzavo quella foto e la osservavo con gran rispetto e ammirazione, lo stesso rispetto e ammirazione con cui mi ritrovo ad osservarlo sulla linea di partenza .
La tattica di gara era chiara nella mia mente, partenza accorta, gestione dello sforzo fino al vallone dello Scerscen e da lì in poi se ne fossi uscito vivo avrei dato tutto fino all'arrivo.
Parto avvolto nella mia playlist e senza nemmeno accorgemene mi ritrovo alla Bosio.
Nel via-vai del ristoro mi ritrovo a pochi secondi dal gruppo di testa e complice i flashback dell'anno precedente, dei Metallica nelle orecchie, ho un sussulto di orgoglio che avrei decisamente dovuto reprimere.
Nelle fasi concitate della prima parte di gara si è ancora ricchi di energie e l'adrenalina spesso inibisce la lucidità, e come diciamo in gergo : mi si è chiusa la vena.
Lunga la discesa riprendo il gruppetto di testa e non contento rilancio anche l'andatura quasi per dimostrare a me stesso che non ero lì a fare una comparsata.
Sono stati 30 minuti fantastici, in cui per una volta sono riuscito a stare davanti a Franco, ho avuto quasi l'impressione di poter imporre tempi e ritmo, anzi ad certo punto ho fatto anche un pò lo spavaldo guardandomi indietro come per
dire : ce la fate a seguirmi ?!
E' stato breve, ma inteso, come quelle sbronze adolescenziali che con 4 birre ti senti per aria, ma alla vista dei tuoi genitori che ti aspettano sul uscio di casa ti ritrovi ad avere due scelte, scappare o ripigliarti nel più breve tempo possibile.
Sono bastati 2 minuti del passo Ventina ed una accelerazione di Collè per farmi capire di ritornare al mio posto, le mie gambe non potevano reggere quel ritmo e nonostante la gestione fin li scellerata trovo un barlume di ragione e mi faccio da parte facendo un cenno a Christian Pizzatti e Marco Bonfante di passare perchè io avrei rallentato.
Salgo piano, ma il Ventina fà male anche a ritmi bassi, è tutto un gioco di equilibrio, un saltellio continuo tra una roccia e l'altra navigando alla ricerca del sentiero migliore.
Mi viene in mente il Bitto, le estati in cui scorrazzavo su e giù dal fiume saltellando come un pazzo da un sasso all'altro. Mi è sempre piaciuto questo gioco, un misto di forza equilibrio e abilità.
Non sempre il percorso più breve risulta essere il migliore, e per distrarmi dalla fatica inizio questo gioco mentale di analisi e valutazione delle traiettorie per fare il miglior tragitto con la minor fatica possibile.
La luna piena ci osserva e il sudore ormai si è impadronito di ogni cosa abbia indosso, ma non c'è tempo per cambiarsi è meglio marciare regolari senza troppe soste prolungate ed è così che arrivati a Chiareggio preferisco ripartire quasi subito.
Senza foga, senza pensare alla posizione, ma con l'intento di mantenere una andatura costante ed efficace.
Ormai sta albeggiando e tra poco finalmente potrò levarmi la frontale.
Amo correre di notte, ma dopo diverse ore che si corre al buio si è un poco alienati come se si corresse dentro ad una scatola, preferisco poter scrutare l'orizzonte così da poter disperdere lo sguardo e ammirare la natura che mi circonda.
Arrivo al lago Palù e intravedo Francesco , Danila e Emanuele che mi aspettano.
Avere qualcuno sul percorso è sempre uno stimolo speciale ed era grazie a loro se ero lì in quel momento.
Era/è grazie a loro se avevo ri-trovato la fiducia e la forza necessaria per affrontare tutte le mie paure, dubbi e timori che erano emersi nelle settimane precedenti alla VUT.
Non volevo partecipare perchè non mi sentito pronto, perchè avevo paura di deludere tutti, perchè ero poco allenato, perchè...
In queste circostanze si trovano mille "perchè" per giustificare le proprie azioni, per rimanere nella propria comfort zone .
Hanno preso le mie frigne, le hanno appallottolate e lanciate lontano... due carezze quattro calci in culo e mi hanno rimesso in carreggiata.
Sapevo che avevano ragione, sapevo che sarebbe stato più semplice scappare, sapevo che potevo giustificarmi in mille modi, ma sapevo anche quanto ci tenevano a me e che quello che in fondo mi stavano dicendo era vero e che era giusto che affrontassi la VUT come avrei potuto.
Due battute, quattro sorrisi e proseguo per la mia strada. Prossimo appuntamento Rifugio Zoia , prima però mi aspettava il punto chiave di tutta la gara : il
famigerato Vallone dello Scerscen con la risalita verso la Rifugio Marinelli Bombardieri.
Nelle mie migliori fantasie invernali mi ero immaginato il Vallone come il punto cruciale nel quale mi sarei giocato la vittoria.
Nel mio personale film ero sulla scia di Collè, lo vedevo all'orizzonte, notavo che il suo passo non era veloce come il mio e che senza pietà sarei andato a prenderlo e inesorabilmente lo avrei passato sul duro sentiero che portava al Rifugio Marinelli.
Era un copione fantastico, spuntare primo in solitaria alla Marinelli con un tifo da stadio, prendere a tutta velocità la discesa verso la Rifugio Carate, mangiarsi il Fellaria, volare verso lo Zoia, inserire il turbo e planare su Caspoggio. Apoteosi ! Birra a fiumi e festa all night long.
Oggi l'unica cosa che ho sentito è la scia del odore delle mie ascelle, la risalita verso la Marinelli è stata dura e impietosa e il Fellaria ha dato il colpo di grazia.
Arrivato allo Zoia era finito !
Ho maledetto me stesso, questo sport e tutto quello che potevo insultare in quel momento.
La carenza di allenamento e fondo si stava facendo sentire e forse non avrei dovuto bere quelle birre alla Marinelli, ma non avevo resistito, ero stufo delle cose dolciastre e far colazione con della birra, grana e bresaola in quel momento mi è sembrata la cosa migliore che potessi fare.
Riparto verso il Rifugio Cristina in Valmalenco, dove prima riuscivo a correre ora potevo solo ansimare e marciare. Avevo i piedi cotti, le gambe stanche e sapevo che la strada era ancora lunga.
Come spesso accade succedono anche delle cose inaspettate che ci donano nuove energie.
Arrivato al Rifugio Cristina incontro Laura una vecchia amica di infanzia che non vedevo da tanto tempo. Sapevo che era in Italia in questo periodo, ormai è da molti anni che vive all'estero e gli avevo scritto di passare a farmi un saluto sul percorso se ne avesse avuto voglia, ma non credevo sarebbe venuta.
E' stato emozionante, ci siamo salutati, mi son presentato al suo ragazzo Inglese (credo) e poi sono ripartito con la promessa di rivedersi all'arrivo per una birra insieme.
Passo dopo passo finalmente mi ritrovo sulle piste da sci che portano a Caspoggio. Sono al limite ma ormai la meta è vicina, imposto il pilota automatico e con i Planet Funk nelle orecchie mi sembra quasi di star bene.
E' stato belle ritornare ad esser un semplice finisher senza pensare alla classifica, al tempo, ma pensando solo a godere nel fare del sano trail-running.
Cara VUT ci vediamo nel 2020 !
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P.S :
Partecipare alla VUT è dura, ma la vera sfida è resistere al party post premiazione !
Marco Scanziani
Sono le Undici, il buio della notte abbraccia la Valmalenco.
Tra pochi minuti si parte per correre uno degli Ultratrail più duri e tecnici delle Alpi.
90 chilometri, 6000 metri di dislivello positivo, 180 trailrunners e un’Alta via che, da ovest a est, abbraccia una valle meravigliosa, sotto l’ombra del Bernina.
Ci aspettano salite senza fine, nevai insidiosi, discese da Rollercoaster, cime sferzate dal vento ed un terreno aspro, lunare.
Ma qui non siamo sulla Luna, siamo sulla traccia della Valmalenco Ultradistance Trail.
Eppure alla partenza non c’è paura e preoccupazione, ma solo volti felici, menti sognanti ed occhi che brillano. Non è forse vero che l’attesa del piacere è essa stessa il piacere?
Siamo dei privilegiati.
Poter correre tra queste montagne è un onore concesso a pochi,
essere avvolti dallo spirito del bosco è magico,
lasciarsi illuminare da un’alba a 3000 metri è un sogno.
Pronti via, con ai piedi le nuovissime Asics Fujitrabuco Pro si parte per questa nuova avventura.
La scarpa è eccezionale, all’altezza della situazione.
Leggera, protettiva, veloce ma con grip, sente il terreno, ha il giusto feeling con la montagna.
Impossibile descrivere le 18 ore di gara, un’altalena di emozioni scandita dallo scroscio dei torrenti, dal canto del cuculo, dal rumore dei nostri passi.
Una pioggia di sensazioni, alimentata dalla morfologia della pietra e dalla lucentezza della luna piena.
Un’armonia di gesti, che da banale gesto motorio si arricchisce tramutandosi in poesia.
Siamo matti, ma lassù troviamo la felicità.
Luca Trapani
“Correva l’anno 2017…” Proprio così dovrebbe cominciare il mio racconto della VUT 2019. Già: risale ormai a più di due anni fa il ricordo di un messaggio whatsapp di mia sorella che lessi la mattina presto: era un link ad una pagina di una testata locale e raccontava dell’organizzazione di una grande corsa sull’Alta Via della Valmalenco. Svegliai subito la mia ragazza: “Alessia, stanno organizzando un’Ultra Trail sull’Alta Via della Valmalenco”, le dissi colpendola fastidiosamente e ripetutamente sul braccio. Lo ricordo ancora, avevo un nodo in gola nel dirlo. Corsa in montagna, Alta Via e Valmalenco, tre fra le cose che amavo ed amo di più, si stavano per fondere in un unico evento. Accarezzai da subito l’idea di percorrere i 90km per intero, ed oggi devo ammettere, senza nessuna preparazione. “Fortunatamente” allora mi fermò un infortunio ancor prima di poterci pensare sul serio. L’anno scorso mi iscrissi invece alla seconda frazione, ma mi era chiarissimo si trattasse solo di un dolce preludio alla gara regina. E così eccomi qui, ai “nastri di partenza”. Fra il frastornato e l’impaurito, cerco con lo sguardo quello di qualche compagno di viaggio per alleggerire la tensione. La mia ragazza è aldilà della transenna ed è visibilmente emozionata, più di me. Io sono ormai in trance, so che dopo che il countdown avrà dato il via, dopo i primi km di “cinque” battuti in sequenza ai bambini, saremo soli nel bosco, con le nostre paure e debolezze.
Un ultimo bacio ad Alessia e si parte, sfiliamo piano per il centro di Chiesa, fra due ali di folla incredibili, di quelle che non ti aspetti. Vedo qualche amico, sento il mio Suunto suonare, mi sta dicendo che ho già superato il limite dei battiti cardiaci che mi sono preimpostato di tenere. “Picchi emozionali” che mi accompagneranno per tutto il lungo viaggio. Passata la prima bolgia di gente ci incanalano sul sentiero Rusca. I frontalini davanti a me si allontanano sempre di più, mi chiedo seriamente cosa stessi facendo lì, fra tutti quei “mostri” dell’Ultra Trail. Mi vengono in mente le parole di Gianluca, un amico che fece la prima edizione, anche lui per intero , fra l’altro con un gran tempo: “all’inizio corrono tutti come dei matti, tu lasciali andare”. E così faccio. Mi ritrovo da solo, con un paio di frontalini subito innanzi a me. Dietro, per paura, non ho mai guardato, ma ero sicuramente fra gli ultimi dei quasi 180 “pazzi” della 90km.
Arrivati a Torre inizia la salita: penso ai miei familiari ed amici mentre mi seguono in diretta sul sito dell’organizzazione. Riecheggiano le parole di mio padre “Non hai mai fatto più di 45km, come fai a farne 90km?”. In realtà non lo so nemmeno io. Ci addentriamo nel bosco ed il gruppo si ricompatta. Al primo ristoro, il Rifugio Cometti, trovo molte persone ferme. Faccio un pit stop rapido e ne sorpasso già una decina, mi rincuoro. Mi sono imposto di arrivare la rifugio Bosio in 2h50’ e centro l’obiettivo. Un sorso di the e riparto in discesa, scambio le prime parole involontarie con qualcuno che ho raggiunto: pensava fossi il suo amico “Alberto”, rimasto probabilmente attardato.
Alpe Lago, mando dei vocali alla mia ragazza per aggiornarla sulla mia posizione. Oltrepassando ristori più o meno ufficiali raggiungo l’Alpe Pirlo e l’immagine più spettacolare di tutta la mia VUT: una fila di lampade frontali mi sta indicando la via, lunghissima, che mi porterà al passo Ventina, anche se non ne intravedo la fine. Non fosse stata per la luna, quasi piena, che con il suo pallore illuminava la nostra rotta, sarebbe stato esattamente come guardare il cielo col naso all’insù, ammirando una meravigliosa costellazione. La salita si fa ripida, scorgo su un sasso la scritta “Forza!” che vidi nel 2015, percorrendo l’Alta Via, l’ennesimo brivido mi percorre la schiena. Il serpentone di persone si è accorciato, ogni tanto si blocca. Resisto a 2, 3, 4 stop involontari, poi comincio a sorpassare su vie “alternative” alla già poco percorribile traccia che porta ai laghi di Sassersa. Qualcuno, più di qualcuno, si lamenta del terreno di salita: “questo non è trail running” dicono. “Benvenuto in Valmalenco”, mi verrebbe da rispondergli. La paura di non stare nel primo cancello orario delle ore 7.00, nel frattempo, comincia a farsi strada in me. Raggiungiamo i laghi di Sassersa, la luna si specchia nel primo lago, che vorrei fotografare, ma so che il telefonino non mi darebbe soddisfazione. Ancora uno sforzo ed arriviamo in cima al Passo Ventina: un sollievo. 2700m verticali nelle gambe, ma ancora non sento nessun fatica. Sta albeggiando e mi prendo un minuto per fotografare i frontalini alle mie spalle e la ripida discesa che mi aspetta. Il tempo di indirizzare i miei piedi verso Il rifugio Ventina ed è tempo di spegnere l’ “occhio di bue”, penso che è buona cosa risparmiare batteria. Sia mai dovesse servirmi per arrivare a Caspoggio…
Supero il primo tratto complicato di discesa, poi il nevaio, poi è finalmente ora di poter allungare la falcata di corsa, in picchiata fino a Chiareggio. Sono le 6 del mattino, in perfetto orario sulla tabellina di marcia che ho applicato con lo scotch al retro del cellulare.
La mia ragazza è li ad aspettarmi, mi rabbocca lo zaino di liquidi, panini e barrette al cioccolato e riparto. “Sei 78°” mi dice. “Impossibile, ne avrò superati 30 e sono partito ultimo!”. Invece aveva ragione lei.
Attacco la salita di Chiareggio, una passeggiata rispetto alla precedente, ma le forze cominciano a mancare e sono circa al 34°km, mi preoccupo. Sono quasi al Rifugio Longoni e dei volontari evidentemente notano la mia difficoltà: “forza, che al rifugio c’è di tutto!” Scherzo con loro, raggiungo il Rifugio, mi siedo 5 minuti, mi rifocillo e riparto: non so cos’avessero messo nel the i rifugisti, ma le mie gambe si mettono a girare meglio che in partenza. Ripasso davanti ai volontari, dico loro che avevano ragione, ci facciamo quattro risate che sollevano il morale e accelero il passo verso la vecchia carrozzabile dello Scerscen dalla quale, assieme ad uno dei tanti compagni di viaggio provvisori, raggiungo il lago Palù. Ripartiamo assieme, superiamo il Bocchel del Torno, e di nuovo discesa rapida fino al Campascio. La Musella è vicina e lì ci sarà nuovamente la mia ragazza ad aspettarmi. Corro, pur rispettando i limiti cardiaci preimpostati sull’orologio che comincia a segnare cifre per me nuove: 53km. Quanto durerò ancora? Raggiungo il “check point” con largo anticipo, mangio il mio primo piatto di pasta, bevo due bicchieri dell’immancabile the e, supportato dal tifo di Alessia, parto per la parte più temuta: il Vallone dello Scerscen. Trovo subito un altro compagno di viaggio, l’inossidabile Attilio, ma oltre a lui trovo anche una sgradita deviazione: una frana ha cancellato una parte del tracciato originale, tocca inventarsi una poco agevole alternativa in sinistra orografica del fiume omonimo della valle. “Ci sta rallentando”, commentiamo io ed Attilio. Sappiamo di non dover vincere la gara, ma il pensiero va subito all’ultimo cancello orario del Rifugio Zoia, delle ore 18. Siamo in anticipo, lo sappiamo bene, ma il Vallone è lungo, sfiancante ed abbiamo alle spalle 12h di gara. La deviazione innervosisce ma mi concentro sul bivacco mobile posizionato al 61°km. Raggiungiamo e superiamo diverse persone, ma pare non finire mai. Il ristoro “volante” ci appare come un’oasi nel deserto e acceleriamo il passo. Mi rifocillo e riparto da solo: prima di fermarmi ho visto 4 zaini ed anche se mi vergogno un po’ a dirlo, comincio a prenderci gusto: quegli zaini vorrei osservarli un po’ più da vicino.
Cosa che accade poco più tardi: raggiungo e cerco l’obiettivo successivo sul tracciato, ingannando anche così il tempo. Alle ore 14 raggiungo finalmente la Marinelli. Collè è già arrivato, si è fatto la doccia e si sta sicuramente godendo una birra. Ma vuoi mettere bersela ora, a oltre 2700m? Me l’ero promesso: il rifugio Marinelli rappresentava il mio traguardo immaginario: ho pensato per più di due anni a questa gara e mi ero sempre immaginato con un bicchiere di birra proprio qui, in questo punto. Così faccio: una bionda, un piatto di pasta, e riparto. Le gambe girano, la testa è leggera (merito della birra?) ed arrivo alla bocchetta delle Forbici, ma prima di scendere al Rifugio Carate mi guardo dietro: mille volte ho visto il gruppo del Bernina, in nessuna delle precedenti occasioni l’ho visto bello come ora. Altra breve sosta al ristoro, e mi addentro verso la forcella di Fellaria. Lo ricordavo più vicino, più raggiungibile, più basso. Ma ormai sono qui, non mi fermano nemmeno con i fucili. Arranco un po’ ma il passo è raggiunto fra una lingua di neve ed un’imprecazione. Oltre il passo altra neve, cerco di non cadere ma vado col sedere per terra per tre volte. Beh, almeno avrò fatto ridere un pochino i volontari sorpassati da pochi secondi. Davanti a me altri due “zaini”, ma stavolta sono veloci. Corro dove posso, saltello sui sassi dove non si può, ma quei due zaini mi sfuggono. Fino al ristoro del Rifugio Bignami. Pit stop veloce e comincia la discesa. Non so perchè, ma sono passati più di 70km e 5400m di dislivello positivo e le mie gambe girano ancora bene. Accuso le salite, certo, ma in pianura corro come non credevo sarei stato in grado di fare dopo tutte queste ore in giro.
Raggiungo il Rifugio Zoia, quasi due ore prima della chiusura dell’ultimo cancello orario, ma ostento lucidità “non è finita finchè non è finita”, mi ripeto. Sto per tirare fuori il sogno dal cassetto e sento l’euforia salire, ma sono consapevole del fatto che se dovesse succedere qualcosa proprio ora, conoscendomi, mi dannerei per il resto dei miei giorni.
Allo Zoia ho anche la sorpresa di trovare alcuni miei familiari. Forse anche grazie a loro, sono lucido e fresco come non mai e riparto, assieme alla mia ragazza, onnipresente, la quale mi accompagna lungo gli ultimi 17km. Le mie previsioni stavolta vengono disattese, il male dal ginocchio destro comincia a farsi insistente ed io debbo tirare i remi in barca. Dal Rifugio Cristina in poi è una lunga agonia. Ma se prima non mi avrebbero fermato i fucili, figuriamoci ora. L’Alpe Acquanegra, Cup e Cavaglia scorrono lente sotto le nostre scarpe, troppo lente, ma arriviamo a Caspoggio e si sente la voce dello speaker che annuncia gli arrivi. Nel frattempo mi raggiunge e sorpassa anche il grande Attilio. Più la discesa si fa ripida, più il dolore si fa acuto, e più che camminare sto zoppicando in discesa. In qualche modo arriviamo a S.Antonio, Alessia mi precede e fa un’ultima accelerata vs. l’arrivo, per potermi accogliere da li. Raggiungo quindi da solo il centro di Caspoggio, mi accolgono campanacci, urla di festa, e ritrovo i “cinque” dei bambini. Viaggio veloce verso il traguardo, guardo l’orologio, segna 93km. L’attesa del piacere è essa stessa piacere, ma questi due anni che mi hanno separato da questo sogno che sto per realizzare, sono stati davvero lunghi. Penso agli amici, quantomeno a quelli che ci credevano quanto me, penso ai miei familiari, so che li vedrò tutti fra poco, oltre il traguardo, penso alla mia ragazza che mi ha sempre sostenuto in questa piccola follia. Penso a cosa sarebbe giusto fare e dire, una volta lì. Ci avrò pensato almeno 100 volte nell’ultimo mese, ma sul momento mi viene solo da rallentare la corsa lungo il viale di arrivo, iniziare a camminare, godermi gli ultimi secondi della MIA VUT e fare un lungo respiro liberatorio. Stop al Suunto. Sono solo un finisher di questa VUT, ad altri sono andati gli onori del podio e di prestazioni ben superiori alla mia, ma giungere 60°, dopo l’agonia ed i relativi controsorpassi dell’ultima frazione di gara, mi soddisfa enormemente. Al traguardo arriveremo in 90. Altri 90 circa non sono stati nei cancelli orari o si sono ritirati. Auguro loro di poter tirare fuori dal cassetto il sogno VUT già l’anno prossimo. Arrivederci al 2020, io sicuramente ci sarò.
Tatiana Bertera
Un’ora al via. Piove. Entriamo in griglia. Facce note (poche) e sconosciuti (tantissimi). Tutti con la stessa tensione in volto. Percorso ridotto (queste sono le info ufficiali) a 73 km e 4.900/5.000 D+, perchè al Ventina e alla Marinelli sicuramente non è consigliabile avventurarsi, soprattutto con i temporaloni previsti. E mi immagino di già, versione pollo arrosto, sbruciacchiata da un fulmine sui sassi del Ventina. Qualcuno ride, per alleggerire la tensione. Molti si limitano a sorridere e si preoccupano per l’outfit, e questa volta non per una questione di stile.
Trenta minuti al via. Voglio tornare a casa.
La maggior parte di noi non indossa i pantaloni antiacqua, “perchè poi ci sudi dentro”. Io decido che preferisco essere sudata e calda piuttosto che bagnata e fredda. Mio papà insiste per farmi indossare i guanti. Non sono convinta ma lo ascolto. Guanto in lana con sopra un guanto impermeabile (sì… proprio come quello del dentista) : sembro un cardiochirurgo! Guardo il mio guanto azzurro da dentista e sorrido. Perfetto per una operazione a cuore aperto. Accanto a me i bastoni, quei Masters nuovi nuovi che temevo non sarebbero arrivati in tempo per la gara. Ultime occhiate al telefono e un selfie-ricordo.
Dieci minuti al via. Piove a dirotto.
Paura. Paura di non arrivare, di non passare i cancelli. Paura di deludere me stessa. Brutta bestia la paura. Non riesco a partire a cuor leggero, come invece dovrebbe essere.
Un minuto al via. Via!
Continua...
VUT, a poche ore dal via (Parte1), VUT, nell’inferno della notte (Parte2), VUT, un traguardo da brivido (Parte3)